4. Non uccidere
Divieto di spargimento di sangue. Il valore della vita
RIFERIMENTI:
6° Comandamento biblico
Chi sparge il sangue di un uomo, avrà il sangue sparso da un altro uomo
(Genesi, 9,6)
Mettere in salvo una persona perseguitata
Non restare impassibili davanti al sangue di colui che si potrebbe salvare da pericolo mortale
COMMENTO:
E’ il divieto di causare la morte di un uomo vivente: “Chi sparge il sangue di un uomo, avrà il sangue sparso da un altro uomo” (Genesi, 9,6).
Da qui deriva la proibizione dell’omicidio. Qualsiasi omicidio è visto dalla Torà come una cosa abominevole, anche il così detto omicidio pietoso; anche l’assassinio degli embrioni. E il motivo è spiegato nella seconda parte del versetto citato “perché Dio ha fatto l’uomo a Sua immagine”.
In questa mitswà non vi è distinzione fra l’Ebreo ed il Non-ebreo, entrambi sono tenuti a preferire di essere uccisi piuttosto che uccidere. Il Talmud riporta il fondamento logico di questa proibizione “Forse il tuo sangue è più rosso del suo?” (Talmud Bab., tratt. Pesachìm, 251r, tratt. Yomà, 82b). Quando ci allontaniamo dalla morale divina e diamo importanza a quella umana, vediamo quanto diventa cinica la vita: in alcuni Stati l’infanticidio è permesso fino a un dato numero di settimane dopo il concepimento in altri quasi fino alla nascita; e in Cina l’infanticidio è permesso anche dopo la nascita. La morale umana, infatti, quella statuita dagli uomini, non è assoluta, così quello che è legale in uno Stato diventa omicidio in un altro Stato. L’uomo e un anima dotata di corpo, non il contrario: sebbene la biologia dell’uomo assomigli a quella degli animali c’è nel primo una scintilla divina, come dice Thomas Brown: “Sappiamo che c’è qualcosa all’interno del corpo che si trova pure al suo esterno e che continua ad esistere dopo la scomparsa del corpo, sebbene non sia conosciuta la storia precedente di questo qualcosa ed esso non possa raccontarci come sia entrato in noi”. L’anima non è una funzione della materia e non possiamo misurarla o pesarla o misurare la sua energia con strumenti fatti dall’uomo.
Essa è una qualità che l’uomo ha avuto direttamente da Dio che “alitò sul volto dell’uomo un soffio vitale” (Genesi, 2,7).
Spiega lo Zòhar “Chi ha alitato, ha dato qualcosa di Suo”; questo significa che l’anima deriva dall’Infinità spirituale, e questo è il segreto della vita. Perciò la Torà considera l’omicidio una cosa abominevole al punto che esso fa vacillare il mondo intero.
L’Ebraismo protesta contro tutti i tentativi di misurare la vita umana facendola corrispondere a un valore materiale, stabilito per ricavarne altra materia.
Perciò l’Ebraismo sostiene in forma chiara ed evidente il diritto del moribondo a continuare a vivere, sia pure per pochi minuti, perché secondo il punto di vista ebraico anche un uomo che non potrà continuare a vivere pensa e medita nei suoi ultimi momenti, la sua anima è con lui e le sensazioni ribollono nel suo cuore. Forse proprio in quei momenti, quando si sta congedando da questo mondo, gli salgono in cuore i pensieri più puri, perché egli è già lontano dalle sensazioni materiali che vanno dietro il desiderio, pensieri che hanno la forza di aggiungere dimensioni elevate alle qualità della sua anima.
Questi pensieri e queste sensazioni sono adatti a giungere al mondo spirituale interiore che scende dal Mondo dell’Emanazione di Chi ha alitato in noi quest’anima.
Nessun magistrato, nessun medico, nessun parente ha il diritto di rubare quei momenti a colui che sta trapassando.
Da dove deriva l’autorizzazione morale ed “illegale” per decidere di staccare il moribondo dagli strumenti che lo mantengono in vita (anche una pianta, pur se non sappiamo come, viene danneggiata se si rende confusa la sua coscienza)?
Pertanto non dobbiamo meravigliarci se alla luce del pensiero ebraico quelle azioni sono considerate omicidio in tutto e per tutto.
ATTUALIZZAZIONE:
Cosa faccio della mia vita e come considero quella degli altri?
… restano aperte le questioni che riguardano la libertà personale, la dignità della persona e … la sua sofferenza o il rispetto di volontà scritte.
– Quando si può dire che si uccide per non fare “accanimento terapeutico”?
– Si può dire che si uccide una persona se mette per scritto le sue ultime volontà che se per atroci sofferenze preferisce la morte alla “vita” in quelle condizioni?